5

Nulla resta nella vendetta,

non i cocci, non le spoglie, non i presenti agognati attimi.

Perché dunque una posticcia giustizia?

Perché riversare odio in chi colpì ciò che a noi era più caro?

Perché non il cordoglio e il placido ritiro?

Rabbia, O rabbia che alimenti ma non sazi,

Rabbia che vuoi designar vincitori e vinti

Laddove non c’è che sconfitta.

4

Algido sole splendi dunque

Sulle pianure dove incerti germogli

bucano la terra coperta di nebbia,

non desolazione ma vita sei, in battaglia.

Se solo sapesse il germoglio divenir

biondo grano reciso perdurerebbe?

Cercherebbe luce o rimarrebbe mesto in seme

a inaridirsi e morir cheto nel letto a lui scavato dal tenace aratro?

Fatti son per la mietitrice,

ma non lo è ogni cosa fino alla petra ch’attende d’esser polvere?

Giovane peluria della terra, i teneri germogli 

s’affiancano l’un altro come fanti nei fastosi indumenti

Come sciocchi adolescenti.

Non tributi né bagordi tarderan la falce,

Non si creda, né si dubiti,

di nessun resterà memoria incisa nella calce.

3

Chi sei tu dunque che come rapina invadi le mie notti?

(L’hanno esposto al ludibrio)

Crucifige crucifige

Carne martoriata nell’ispido manto

Chi sei in quel tuo silenzio?

(Imprecano, mercanteggiano, tirano i dadi)

Crucifige crucifige 

Carne graffiata dalle sferzate

Chi se tu agnello?

(Hanno straziato il nostro signore

Angeli urlano)

Crucifige crucifige 

Vien meno la madre sorretta dal prediletto

Chi sei tu che dicon re?

(Linde le mani nel lordo lavacro)

Crucifige crucifige

Carne di spine

Piangesti sangue nell’orto

Chi sei tu che sorreggi il pesante legno?

Chi sei tu che accogli il chiodo?

Lo cercasti?

(La pelle si fa bruna di polvere e sputi)

Ancor, quando il giorno s’appressa,

quando la veglia ti porta via come polvere,

non riesco a lasciarti al solingo supplizio.

2

Quanto ardore sopito,

quanto pio disio,

la mano corre di gran fretta,

i tasti si fan testimoni distratti della partitura,

ho forse udito la grazia farsi tenero nido?

quel canto di violoncello che sferza un inizio

di cangianti violini, di piano rapace e tonante,

sarà certo sempre propizio,

sarà forse un adagio che segue luccicante.

Corre il polacco, scacco degli avidi pensieri

smacco delle alterne lussurie,

sbarco di tiepidi lidi ove

non ci son crepacci ma tenere alcove.

1

Se solo l’aspro rio, spezzato nella terra spezzata dal correr suo fosse cheto,

Potrei allora sedere e pace trovar.

Pallida frescura di meriggi velati,

Pallade dormiente

Vago respiro 

Voglie sopite

Dove allora è la quiete?